LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa al n. 1750 R.G.
2000  avente  ad  oggetto: esecuzione in forma specifica, promossa da
Monti  s.a.s.  di  Monti  Loana  &  C. e Pavan Paolo con gli avvocati
Giuseppe Portigliotti e M. Rino Orioli, appellanti;
    Contro   Vidali  Riccardo  elettivamente  domiciliato  in  piazza
Matteotti  n. 11,  Verbania (studio avv. Adreani) presso l'avv. Marco
Barattini,  procuratore  costituito  in  primo grado, appellato, e in
contraddittorio  con  Fortina  Edilde,  coerede dell'appellato Vidali
Riccardo,  rappresentata  e  difesa  dagli avvocati Marco Barattini e
Marco Bertuzzi, coerede dell'appellato.
    Udienza di discussione del 29 gennaio 2002.
    1. - Premessa.
    La Corte di appello, premesso:
        che con atto di citazione in appello notificato il 25 ottobre
2000  s.a.s.  Monti  di Monti Loana & C. e Paolo Pavan hanno proposto
impugnazione  avverso  la  sentenza  del  Tribunale  di  Verbania del
25-26 agosto  1999,  n. 459, che aveva deciso la controversia da essi
promossa nei confronti di Riccardo Vidali;
        che in particolare il Tribunale aveva:
          dichiarato il difetto di legittimazione attiva del Pavan;
          respinto la domanda di esecuzione specifica di un contratto
preliminare;
          accolto   la  domanda  di  risoluzione  del  contratto  per
inadempimento del Vidali;
          respinto la domanda risarcitoria;
          condannato   il   Vidali   alla   rifusione   delle   spese
processuali;
        che  alla  prima  udienza del giudizio di appello l'appellato
Riccardo  Vidali  non  si e' costituito e la Corte, rilevato un vizio
nella   notificazione  dell'atto  introduttivo,  ne  ha  ordinato  la
rinnovazione per l'udienza del 26 giugno 2001;
        che  in  tale  udienza  si e' costituito per l'appello l'avv.
Bertuzzi,    in   sostituzione   dell'avv.   Barattini,   dichiarando
contestualmente  l'intervenuto  decesso  di  Riccardo  Vidali in data
19 settembre 2000;
        che  la  Corte  ha  conseguentemento dichiarato interrotto il
procedimento;
        che  con  ricorso  depositato  in  data 21 settembre 2001 gli
appellanti   hanno   richiesto   la  fissazione  di  udienza  per  la
prosecuzione del giudizio;
        che  il  Presidente  ha  provveduto con decreto del 3 ottobre
2001  a  fissare  all'uopo udienza al 29 gennaio 2002, con termine al
31 ottobre 2001 per la notificazione;
        che   il   procuratore   di  parte  appellante  ha  richiesto
all'ufficio  giudiziario  la  notificazione  del  ricorso  e  decreto
impersonalmente  e  collettivamente nell'ultimo domicilio del defunto
in via Cavour n. 105, Arona;
        che  il  plico  contenente  l'atto, notificato dall'ufficiale
giudiziario  tramite  il servizio postale in data 18 ottobre 2001, e'
stato  peraltro  indirizzato  non gia' agli eredi del defunto ma allo
stesso Riccardo Vidali;
        che in data 21 novembre 2001 la parte appellante ha richiesto
una  nuova  notificazione,  questa  volta eseguita effettivamente con
plico  indirizzato  agli  eredi, ritirata in data 24 novembre 2001 da
Carla Vidali, qualificatasi quale "erede";
        che  all'udienza  del  29 gennaio  2002  si  e' costituita in
giudizio  Edilde  Fortina,  qualificandosi quale moglie e coerede del
defunto   Riccardo   Vidali,   per   eccepire  in  via  pregiudiziale
l'inesistenza della notificazione del ricorso per la riassunzione del
giudizio,  in  quanto  eseguita  solo  dopo  il decorso dell'anno dal
decesso  del  defunto  Riccardo  Vidali  (anche  tenuto  conto  della
sospensione feriale);
        che  il  difensore  della  parte  appellante  ha  chiesto  la
concessione di un termine per poter esaminare l'avversaria eccezione,
contenuta in comparsa costituiva depositata in udienza, e comunque il
beneficio della "rimessione in termini" ad ogni effetto di legge;
    Vista  pertanto  e  in  particolare  l'istanza del procuratore di
parte appellante-riassumente diretta ad ottenere la fissazione di una
nuova  udienza  per  "disamina e replica alla comparsa avversaria con
cui   l'avv.  Bertuzzi  si  e'  costituito  solo  oggi  nel  presente
giudizio";
    Ritenuto  che  ai  fini della valutazione di tale istanza e della
possibilita' di fissazione di nuova udienza per la precisazione delle
conclusioni   sia   necessario   effettuare   preliminarmente  alcune
considerazioni

                        Osserva quanto segue
    2. - Il sistema di diritto positivo.
    Come e' noto, il principio del doppio grado di giurisdizione puo'
essere  inteso  in  due modi completamente diversi dal punto di vista
dei rapporti fra il primo e il secondo giudizio.
    In  dottrina, a tale proposito, si e' precisato che un primo modo
e'  quello  di  considerare  il  processo  di  appello  come un novum
judicium,   cioe'  come  un  giudizio  nel  quale  le  parti  possono
liberamente  dedurre,  entro  i  limiti  segnati dalla domanda, nuove
difese, nuove eccezioni, nuove prove.
    Sempre  in dottrina si e' notato che, secondo tale concezione, la
causa   e'   devoluta   al   giudice  superiore  (effetto  devolutivo
dell'appello),  il  quale  ha  cognizione  piena,  cosi'  che  la sua
decisione   puo'   essere   difforme  da  quella  del  primo  giudice
indipendentemente  dall'errore che questi abbia commesso, per effetto
del nuovo materiale apportato nel processo (beneficium nondum deducta
deducendi,  nondum  probata  probandi).  Pertanto, in tale ipotesi, i
limiti  della nuova indagine sono segnati solamente dalle preclusioni
verificatesi nel precedente giudizio.
    Un  secondo  modo,  si  precisa  in dottrina, e' invece quello di
considerare   il   processo  di  appello  come  una  revisio  prioris
instantiae, e cioe' come un riesame delle sole questioni trattate nel
primo grado di giudizio, con esclusione di nuove eccezioni e di nuove
prove.
    La  giustificazione  ideologica  di  questa  concezione sta nella
tutela  della  buona fede e della fedelta' processuale, che impongono
di  manifestare  apertamente, fin dal primo momento, tutti i mezzi di
difesa  e  di offesa ai quali si affidano le rispettive domande delle
parti.
    Appare ovvio considerare che entrambi questi sistemi presentano i
loro vantaggi e correlativi svantaggi.
    Il  secondo  sistema,  gia'  accolto  dal  c.p.c.  del  1940  (in
contrasto  con il c.p.c. del 1865), sia pure con qualche temperamento
era  stato decisamente rifiutato dalle norme modificatrici introdotte
dalla legge n. 581/1950.
    La  riforma  introdotta  dalla  legge  n. 353/1990  ha restaurato
l'architettura  originaria  del  c.p.c. del 1940, dalla quale emerge,
senza ombra di dubbio la struttura dell'appello quale revisio prioris
instantiae.
    La struttura tipica di questo appello presenta:
        una  fase  preparatoria,  con  eventuali  incidenti  relativi
all'esecuzione  provvisoria;  una fase di trattazione vera e propria;
una eventuale fase istruttoria;
        una fase decisoria.
    Il contenuto della fase preparatoria e' il seguente:
        a) il  giudice  verifica  se  sussistono le condizioni per la
procedibilita'  dell'appello (costituzione nei termini e comparizione
nella prima udienza dell'appellante: art. 348);
        b) in  difetto di tali condizioni, il giudice dichiara, anche
d'ufficio,  con  ordinanza l'improcedibilita' dell'appello; ovvero in
caso  di  mancata comparizione dell'appellante, rinvia la causa e, se
l'appellante  non  compare alla nuova udienza, dichiara improcedibile
l'appello;
        c) il   giudice   verifica   la   regolare  costituzione  del
contraddittorio  nelle  due  ipotesi di causa inscindibile e di cause
scindibili  e,  se  rileva  un  vizio  di  notificazione dell'atto di
appello, dispone la rinnovazione della notifica;
        d) verificata  la  procedibilita'  dell'appello e la regolare
costituzione  del contraddittorio, il collegio dichiara la contumacia
dell'appellato,  che  non si sia costituito, e provvede alla riunione
degli  appelli proposti contro la stessa sentenza. Nella seconda fase
di  trattazione,  dopo  la  prima fase preparatoria, non e' possibile
scambiare  memorie scritte, perche' la fase necessaria di trattazione
scritta,  che inizia quando il giudice concede il "termine perentorio
di  sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio ai sensi
dell'art. 190  c.p.c.  ("Deposito  delle difese scritte )" presuppone
che  le  difese  precedenti  debbano  necessariamente  essere  orali:
art. 352 c.p.c.
    A norma dell'art. 352 c.p.c., esaurita l'attivita' prevista negli
articoli   350   e   351,  il  giudice,  ove  non  provveda  a  norma
dell'art. 356,   disponendo  l'eventuale  istruzione  probatoria,  il
Collegio deve invitare le parti a precisare le conclusioni e disporre
lo scambio delle comparse conclusionali.
    L'art. 352  infatti  non  prevede  alcuna  cesura  temporale  fra
l'esaurimento  delle attivita' di cui agli artt. 350 e 351 e l'invito
alla  precisazione  delle  definitive  conclusioni e tale espressa ed
incompatibile  disciplina  preclude  l'applicabilita' residuale delle
norme   dettate   per   il  procedimento  di  primo  grado  ai  sensi
dell'art. 359 c.p.c.
    Tale  inderogabile  disciplina,  che  si  e'  illustrata in linea
generale,  vale anche per il caso di specie dal momento che l'odierna
udienza,   fissata   in   conseguenza   della  rituale  richiesta  di
riassunzione  del  giudizio  interrotto,  deve  ritenersi  pur sempre
regolata  agli  effetti  delle attivita' processuali esperibili dagli
artt. 350 e 352 c.p.c., ossia dalle norme cardine che disciplinano la
trattazione dei procedimenti di appello.
    3. - La questione di costituzionalita'.
    L'assetto  che  si  e'  descritto  si  pone  peraltro  in termini
difficilmente  compatibili con i principi costituzionali, anche se e'
stato  varato  al fine di accelerare al massimo il raggiungimento del
giudicato.
    L'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione  richiede  che ogni
discriminazione normativa di trattamento (incluse quelle fra le parti
di un processo) abbia un fondamento di ragionevolezza.
    L'art. 24,   secondo   comma,  della  Costituzione,  sancisce  il
principio  dell'inviolabilita'  del diritto di difesa in ogni stato e
grado del procedimento.
    L'art. 111,  secondo  comma,  della  Costituzione impone che ogni
processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parita'.
    Tale  principi  risultano chiaramente vulnerati da una disciplina
positiva,  quale quella sopra ricostruita, che priva una parte in una
specifica  fase processuale del potere di interloquire, eventualmente
integrando  le  conclusioni, in relazione agli assenti di controparte
quando   questa  si  costituisce  in  cancelleria  o  all'udienza  di
trattazione.
    E'  pur vero infatti che il sistema processuale strutturato dalla
Novella  del 1990, e in particolare l'art. 347 c.p.c., prevede che la
parte  appellata  si debba costituire secondo le forme e nel rispetto
dei termini fissati per i procedimenti dinanzi al Tribunale, e quindi
nel  rispetto  del  termine  di cui all'art. 166 c.p.c. (almeno venti
giorni prima dell'udienza di comparizione).
    Tuttavia  la  costituzione  successiva  a  tale  termine,  quando
l'appellante  si  sia  invece costituito tempestivamente, come e' suo
peculiare  interesse,  non  e' assistito da alcuna sanzione, eccezion
fatta  per  l'impossibilita'  di  dispiegare  un  ammissibile appello
incidentale  (art. 343  c.p.c.),  a meno che l'interesse ad impugnare
non  sia  stato  ingenerato  dall'impugnazione  proposta da una parte
diversa dall'appellante principale.
    Il sistema, come sopra ricostruito, espone quindi l'appellante, a
fronte  della costituzione della controparte in un momento successivo
alla  scadenza  del  termine  (e  quindi a partire dal diciannovesimo
giorno  anteriore  all'udienza)  o addirittura, come spesso accade, a
fronte  della  costituzione  in  giudizio  dell'appellato  effettuata
proprio  nell'udienza  di  comparizione, a dover orientare le proprie
difese  e  addirittura  a  dover  rassegnare  le  proprie  definitive
conclusioni,   di   merito   ed   istruttorie,   senza   aver  potuto
adeguatamente  esaminare,  e  men  che  meno ponderare e valutare, le
difese svolte dalla parte appellata.
    Si  obiettera' che cio' non e' cosi' grave a fronte di un appello
incidentale  comunque proposto, fuori termine, dalla parte appellata,
perche'  la  diligenza  e  la professionalita' dell'avvocato di parte
appellante  non avranno bisogno di un particolare spatium deliberandi
per poter congruamente formulare il rilievo dell'inammissibilita' del
gravame incidentale, comunque sanzionabile anche ex officio.
    Si  dira' altresi' che la parte appellata, che non abbia proposto
incidentale impugnazione, non avra' ampliato in alcun modo la materia
controversa,   cosicche'  alla  parte  appellante  sara'  sufficiente
reagire  difensivamente  criticando  le avversarie argomentazioni nel
modo  piu'  idoneo  con  la  comparsa  conclusionale  e la memoria di
replica  ed  eventualmente  anche  in sede di orale discussione della
controversia.
    Cio'  peraltro non e' sufficiente perche' la parte appellata puo'
non  essersi affatto limitata a proporre mere argomentazioni critiche
alle  censure  di  parte  appellante. E' possibile, infatti, a titolo
meramente esemplificativo, che la parte appellata:
        abbia  dedotto  prove  nuove,  ex  art. 345 c.p.c, sia in via
autonoma,  sia  in  replica  alle  prove  nuove  dedotte  dalla parte
appellante  principale, con la conseguente necessita' di una presa di
posizione   sul   punto   e  eventualmente  della  deduzione  di  una
controprova;
        abbia  prodotto  nuovi  documenti  o  nei  limiti  consentiti
dall'art. 345  c.p.c.,  o indipendentemente da detti limiti, come una
parte della giurisprudenza della Suprema Corte, sensibile alla natura
precostituita  della  prova  e  agli  influssi  della  giurisprudenza
lavoristica,   risulta  orientata  a  consentire  (Cass.  13.670  del
13 ottobre 2000);
        abbia  riproposto  ex  art. 346  c.p.c.  domande ed eccezioni
rimaste  assorbite  in  primo grado, al cui proposito l'andamento del
primo  giudizio abbia lasciato spazi difensivi non preclusi da alcuna
decadenza;
        abbia  articolato  domande  nuove  ammissibili ai sensi della
seconda parte del primo comma dell'art. 345 c.p.c.;
        abbia  svolto  istanze  istruttorie  nell'ipotesi  in  cui lo
svolgimento  del primo giudizio abbia troncato il normale svolgimento
del  processo  per  la  decisione  del  giudice,  tuttora  lecita  ex
artt. 184  e  187 c.p.c., indipendentemente dall'accordo delle parti,
di  rimettere  la  causa  in decisione senza bisogno di assunzione di
mezzi di prova (ad esempio per aver reputato la causa suscettibile di
decisione  in  diritto,  o  per  aver  ravvisato  la  opportunita' di
immediato   esame   di   questioni  attinenti  la  giurisdizione,  la
competenza o di questioni preliminari di merito).
    In  tutte  queste  ipotesi  costringere  il difensore della parte
appellante  a  prendere  immediatamente  posizione, a controdedurre e
financo  a  precisare  le  sue definitive conclusioni, costituisce un
intollerabile  lesione del diritto di agire e difendersi in giudizio,
diritto  costituzionalmente  tutelato dall'art. 24 della Costituzione
non  solo  nella sua espressione formale ma anche nel suo sostanziale
contenuto  di  effettivita'  che  esige  che il soggetto titolare del
diritto  abbia  la  materiale  possibilita'  di  determinarsi in modo
ragionevole.
    In ogni caso la precisazione delle definitive conclusioni e' atto
processuale  di  grande  rilievo  che dovrebbe essere posto in essere
alla  luce  dell'esame,  approfondito  e  consapevole,  delle  difese
svolte, degli argomenti sollevati e dei mezzi di prova proposti dalla
controparte,  non  foss'altro,  per  esempio,  che  per  decidere  se
insistere o meno nell'impugnazione esperita, in tutto o in parte.
    Verrebbe  da  obiettare  che  il difensore della parte appellante
potrebbe  comunque  esaminare la comparsa avversaria in udienza e ivi
determinarsi nelle sue scelte processuali.
    L'assunto tuttavia non persuade perche':
        da  un  lato,  l'esame  sereno  e  approfondito  di  un  atto
processuale,  magari  ponderoso e complesso, e dei documenti prodotti
non  appare  compatibile  con  il  ridotto  tempo a disposizione e le
condizioni disagevoli in cui l'esame deve avvenire;
        d'altra  parte,  e'  del  tutto  ragionevole che il difensore
avverta  la  necessita'  di  consultare  il  cliente sia sulle scelte
processuali,  sia  circa  i  fatti  sostanziali connessi alla memoria
avversaria  (ad  esempio  in  ordine  ad un documento prodotto o alla
deduzione  di  una  prova  orale)  tanto piu' che il codice non esige
affatto   la   presenza  della  parte  personalmente  all'udienza  (a
differenza  di  quanto previsto per il 1o grado dall'art. 183 c.p.c.,
come  conferma  la  mera  eventualita'  della  previsione  di  cui al
trentesimo comma dell'art. 350 c.p.c.);
        inoltre il nostro ordinamento processuale non conosce, almeno
a  livello  normativamente  esplicito,  l'istituto  della sospensione
dell'udienza  per  un  breve  intervallo  di riflessione, opzione che
comunque non necessariamente risolverebbe il problema.
    La   Corte   ritiene  quindi  che  le  norme  processuali  (e  in
particolare   gli   artt. 350   e  352  c.p.c.,  che  precludono  per
incompatibilita'   l'operativita'   del  residuale  richiamo  di  cui
all'art. 359  c.p.c.  alle  norme  vigenti  per  il giudizio di primo
grado)  impediscano  al  giudice di disporre il rinvio della causa ad
altra udienza per la precisazione delle conclusioni.
    Da    cio'    discendono,   innanzitutto,   gravi   inconvenienti
organizzativi,  fra  cui, ad esempio, l'impossibilita' per il giudice
di  scaglionare e programmare nel tempo la decisione e la motivazione
delle  controversie che ha in carico, in un sistema che non consente,
stante   la   citazione   ad   udienza  fissa  scelta  dal  difensore
dell'appellante,  neppure  la  programmazione  della prima udienza (a
differenza  del  rito  previsto  per  le  controversie  di  lavoro  e
previdenza  sociale  per  cui alla concentrazione del procedimento si
accompagna  la proposizione della domanda con ricorso e la fissazione
della prima udienza da parte del giudice).
    Ne  deriva  - e cio' e' piu' grave! - anche la lesione di diritti
costituzionalmente  protetti  a  causa della violazione di specifiche
norme della Costituzione.
    E cioe':
        l'art. 3, primo comma, della Costituzione per l'irragionevole
diversita'   di  trattamento  delle  parti  processuali,  poiche'  la
necessita'  dell'immediata  precisazione delle conclusioni pregiudica
la  parte  appellante  rispetto alla parte appellata, costituitasi in
ritardo rispetto al termine di cui agli artt. 347 e 166 e magari alla
stessa  udienza  di comparizione, costringendo l'appellante a prender
posizione,  diversamente  dalla  controparte,  rispetto  a difese non
ancora  compiutamente  esaminate  e  studiate,  e  senza  aver potuto
consultare  il proprio patrocinato, compromettendo l'esito successivo
della causa;
    l'art. 24,  secondo  comma,  della  Costituzione,  secondo cui la
difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,
perche'  comunque  la  situazione  descritta  ingenera  una  evidente
lesione  del  diritto di azione e difesa nel suo coessenziale profilo
di  effettivita'  concreta, a nulla valendo l'astratto riconoscimento
di  un  diritto processuale che non sia peraltro possibile esercitare
consapevolmente, ragionevolmente e quindi compiutamente;
    l'art. 111,  secondo  comma,  della Costituzione (come modificato
dalla  legge  costituzionale  23 novembre  1999, n. 2) che impone che
ogni  processo  si  svolga  nel  contraddittorio  tra  le  parti,  in
condizioni  di  parita', davanti a giudice terzo e imparziale, mentre
nella fattispecie in esame la condizione di parita' fra i contendenti
appare solo formale ma non sostanziale ed effettiva.
    Il  tutto,  senza  che  sussista  una  necessita'  inderogabile a
determinare  l'assetto  del  sistema di diritto positivo, dal momento
che  un differimento della precisazione delle conclusioni ad apposita
ulteriore  udienza  non  determinerebbe affatto la trasformazione del
processo  da  orale  a scritto (non essendo prevista alcuna ulteriore
memoria  prima  delle  difese  scritte  finali), ne' causerebbe alcun
eccessivo  ritardo  nella  definizione  del giudizio di secondo grado
(trattandosi di un unico rinvio del procedimento).
    Nella  fattispecie  la  questione di legittimita' costituzionale,
oltre  che  non  manifestamente  infondata per le ragioni esposte, e'
altresi' indubitabilmente rilevante dal momento che:
        la  coerede  Edilde  Fortina si e' costituita solo in udienza
(come le era indubbiamente consentito), cosicche' la parte appellante
non ha avuto modo di conoscere in anticipo le difese svolte;
        la  coerede intervenuta ha formulato un'eccezione processuale
di  notevole  rilievo,  diretta  a  far  valere  l'inesistenza  della
notificazione  dell'atto di riassunzione (avvenuta, da un lato, fuori
dal  termine  concesso  dal  giudice, e, d'altra parte, agli eredi in
modo  collettivo  ed  impersonale  dopo  il  decorso dell'anno di cui
all'art. 303, secondo comma, c.p.c.);
        la  parte  appellante  e'  quindi  costretta  a  determinarsi
immediatamente  in udienza prendendo posizione sull'avversa eccezione
e  sulle sue conseguenze processuali (sia ai fini della riassunzione,
sia,  piu'  in  generale,  ai  fini  della  possibilita' di ulteriore
prosecuzione del giudizio di appello);
        che la necessita' di immediata precisazione delle conclusioni
non  consente  alla  parte  appellante  una  adeguata  riflessione  e
valutazione  circa  le proprie strategie processuali, dal momento che
la  fase  delle  difese  scritte  non  costituisce sede idonea per la
formulazione   di   rituali   istanze,   ma  puo'  servire  solamente
all'illustrazione  di  tesi  difensive  gia' svolte e di domande gia'
ritualmente formulate.
    Pertanto  la  Corte  intende  promuovere  d'ufficio  la  predetta
questione  di  costituzionalita',  come  previsto dal terzo comma del
citato art. 23.
    Il  giudizio  in  corso, ai sensi del secondo comma dell'art. 23,
deve essere sospeso.
    Il cancelliere dovra':
        notificare  la presente ordinanza a tutte le parti in causa e
al Presidente del Consiglio dei ministri;
        comunicare  la  presente  ordinanza  ai  Presidenti delle due
Camere del Parlamento.